Una necessaria premessa
Era dai tempi dell’infausto Fertility Day che non si parlava così tanto della scarsa natalità che affligge il nostro paese.
Secondo l’Istat, nel 2017 sono nati 100mila neonati in meno e sappiamo che le motivazioni sono varie: avere dei figli in questo momento storico è difficile perché mantenerli e prendersi cura di loro ha un costo e perché, dal punto di vista lavorativo, le garanzie per donne che decidono di diventare madri non sempre ci sono.
Insomma, il discorso è sempre lo stesso: se non ho le risorse per arrivare ad avere lo stile di vita che voglio, perché dovrei decidere di mettere al mondo un figlio?
Per puro spirito patriottico?
Per ripopolare questa scalcagnata nazione in cui viviamo?
Per darci una chance di risorgere dalle ceneri?
Per Chicco, celebre brand per prodotti per l’infanzia, tutti questi motivi sembrano validissimi e ce lo comunica in uno spot video paradossale, a tratti distopico e interessante da analizzare.
Chicco e lo spot della discordia
Lo spot video di Chicco parte da un presupposto semplice e attuale: l’Italia, per la prima volta dopo 60 anni non riesce a qualificarsi ai Mondiali di calcio e allora, vuoi per passare il tempo, vuoi per colmare questo grande vuoto, vuoi perché è una cosa che non può più accadere, l’invito della voce narrante è quello di iniziare a copulare hic et nunc, come disperati.
Seguono scene di approcci fisici uomo/donna in posti vari ed eventuali che si alternano a faccini di bambini sorridenti che fanno ben sperare per il futuro.
Ora, di per sé lo spot non è né peggio né meglio di tanti altri visti in giro ultimamente, ma (per sua sfortuna) riesce a coprire talmente tanti punti d’analisi che ci si potrebbe stare giorni.
In questo articolo vogliamo portarne solo uno, quello del branding e della strategia comunicativa, cercando di lasciar perdere tutte le varie critiche sociali e/o politiche che il video ha sollevato.
Chi è (stato) Chicco
La descrizione del brand sul sito è chiara: “Chicco propone prodotti per accompagnare con amore ed esperienza tutti i vostri momenti irripetibili”. Siamo davanti a un’azienda che si occupa di accompagnare i genitori e i neonati nei primi anni di vita.
Abbiamo i vestitini, abbiamo gli accessori per il bagnetto, abbiamo i giocattoli colorati e istruttivi.
Analizzando la sezione “Chi Siamo” leggiamo:
“Ci impegniamo quotidianamente ad essere vicini ai genitori con tutta la nostra passione e competenza, per rendere ognuno di quei momenti un momento speciale.”
E ancora:
“Ascoltiamo i bisogni e le emozioni dei genitori e dei bambini. Li comprendiamo, li facciamo nostri e ci appassioniamo nel dare le soluzioni più giuste per loro. Sappiamo come e quando esserci, in perfetta sintonia, senza mai sostituirci a loro.”
Ecco, ora iniziamo a trovare qualcosa di interessante per il posizionamento del brand, perché Chicco si presenta come un assistente dei genitori, quelli che già hanno figli, che si stanno domandando come crescerli e che sono alla ricerca di un aiuto da chi ha anni di esperienza.
Interessante appunto, sempre nel “Chi siamo” sotto la voce valori:
“Prendersi cura di un bambino richiede la massima serietà. Lo sappiamo, ma pensiamo sia altrettanto importante saper sdrammatizzare con un tocco di leggerezza”
Quindi, se dovessimo riassumere la personalità del brand in archetipi, potremmo dire di essere davanti a un un Angelo Custode che non disdegna la leggerezza.
Ottimo.
E allora che succede con quel video?
Con questo video Chicco sposta radicalmente la sua posizione: da amico, pari livello, si innalza a consigliere non solo di genitori impauriti che non sanno montare la culla del proprio pargolo, ma che, forse, non hanno neanche pensato all’idea di averne uno.
Li spinge, senza mezzi termini, a riprodursi subito perché il nostro futuro è a rischio e bisogna assolutamente ridare speranza al Bel Paese, ridandogli il posto che merita.
Ora, per quanto i toni propagandistici e nazionalistici siano un po’ out of character, possiamo dire che il messaggio potrebbe anche starci.
Con un bel paradosso, Chicco invita i giovani e le giovani d’Italia a fare figli e io mi chiedo: chi altro avrebbe dovuto farlo?
A livello di prodotto non fa una piega e credo che razionalmente sia comprensibile; quello che stona è forse il tono di voce dell’operazione tutta:
- Vagamente aggressivo
- Abbastanza prosopopeico
- Volutamente provocatorio
Se dovessimo fare un raffronto tra, per esempio, la vita a colori pastello e ninne nanna del sito e quei minuti di video, saremo quasi certi di trovarci davanti a due aziende diverse.
Il perché tutto questo sia stato fatto non ci è ancora dato saperlo.
Si tratta di rebranding? Si tratta di una nuova strategia di comunicazione più aggressiva dati i tempi che corrono? Si voleva soltanto creare qualcosa che facesse parlare di sé?
L’unico indizio che abbiamo (e a cui io mi appiglio per scacciare via l’idea che un’azienda che è sul mercato da decenni abbia mandato avanti un’azione di marketing sulla via de “l’importante è che se ne parli”) è il payoff che accompagna il logo Chicco a fine video.
Non più “dove c’è un bambino”, ma un “dove ci sarà un bambino”.
Ecco, questo potrebbe giustificare tutto quanto almeno in termini di ideazione della campagna.
C’è una cosa che però non torna: se dobbiamo considerare il video un’operazione di rebranding, con cambio di target annesso, che senso ha avuto eliminare qualsiasi forma di minoranza dallo spot?
Il popolo LGBTQ e gli immigrati sono totalmente esclusi dalla rappresentazione.
Fino a prova contraria, entrambe le categorie, essendo questo il 2018, sono in grado di abbracciare la causa baby boom, quindi perché non menzionarle?
Questo dettaglio, allora, ci fa ritornare al punto di partenza: si tratta di propaganda dura e pura?
Insomma, un cane che si morde la coda.
In conclusione
Lo scopo di questo articolo era riuscire a dare un’oggettiva valutazione dell’operazione Chicco in chiave di strategie di branding.
La risposta è che non abbiamo ancora tanti strumenti per decidere se questa operazione sia riuscita o no e se davvero rispetti l’identità del brand.
Allo stato attuale, ci sarebbero tanti dettagli da rivedere perché così lo shift identitario è davvero tanto (troppo) forte.
Speriamo che quel payoff non sia frutto del caso, ma un’idea a lungo termine.