Riflessioni e consigli sull’utilizzo di uno strumento potente: l’Intelligenza Artificiale nella comunicazione dei Brand.
Qualche tempo fa ho iniziato a seguire sul web un brand di formazione manageriale. Ne avevo apprezzato i contenuti validi e lo stile sobrio (desideravo approfondire un argomento specifico, ma rimango sul vago perché non voglio fare polemica o accusare nessuno).
Dopo qualche settimana, mi sono ritrovato in un percorso di vendita (funnel è il termine che gli addetti ai lavori utilizzano, ma, personalmente, lo aborrisco), nel quale avrei dovuto dialogare con un chatbot (anche bot per semplicità).
Anche no! Mi sono fermato e di fronte al mio silenzio, il bot ha intensificato la frequenza dei suoi messaggi fino a divenire fastidioso. Io ho continuato a rimanere in silenzio e adesso il bot ha iniziato a farmi domande tipo “Conosci la differenza fra domanda latente e domanda consapevole?”. È bastato il mio silenzio per trasformare l’intelligenza in stupidità artificiale e pure fastidiosa.
Per i non addetti ai lavori, un chatbot è una sorta di risponditore automatico che grazie all’intelligenza artificiale processa il linguaggio secondo determinati schemi, auto-apprende dall’esperienza e partendo da una base già precostituita di domande e risposte possibili, interloquisce verosimilmente, autonomamente ed efficacemente con un utente in un perimetro di argomenti specifici.
Ho abbandonato il brand suddetto. Per la formazione manageriale che mi interessava mi organizzerò diversamente. Un caso in cui l’Intelligenza Artificiale nella comunicazione di un brand non ha funzionato.
No, non datemi del retrogrado anti-innovazione spaventato dal cambiamento (chi mi conosce bene sa che da tutta una vita mi faccio di overdose quasi letali di cambiamento e l’innovazione, addirittura, mi eccita).
Infatti, sempre io, non ho problemi a studiare ed imparare una lingua straniera online, su una piattaforma dove l’uso di intelligenza artificiale con o senza chatbot è presente ed ha un ruolo abbastanza importante.
Due casi di utilizzo dell’Intelligenza Artificiale nella comunicazione del brand.
Perché allora accetto di dialogare con un bot se imparo una lingua, mentre mi rifiuto di farlo se voglio fruire di formazione manageriale?
Nel secondo caso sono un principiante, ho già fatto la mia scelta circa l’offerta e ho di fronte un percorso obbligato di apprendimento di parole e di regole specifiche e immutabili (quasi). Sentirmi uno fra tanti (per quanto intelligente un bot è un bot, qualcosa di meccanico, uno per tutti), non mi infastidisce.
Magari quando sarò tanto bravo da sostenere una conversazione, mi piacerà di più farla con un umano, ma, se sarà per migliorare, anche il bot funzionerà. Mi serve e mi servirà essere corretto sulle regole e sui vocaboli, non fare filosofia sul trapassato remoto o interrogarmi sul senso profondo delle preposizioni articolate. Se poi un giorno inizierò anche a scrivere poesie in questa lingua straniera, allora ucciderò il bot.
Nel primo caso, invece, sono Riccardo Donato un manager, imprenditore e consulente aziendale da più di trent’anni. Non solo un tecnico quindi, ma un portatore di un modo di essere e gestire oltre che di valori e di personalità. Quando riconosco di avere il bisogno di arricchire le mie competenze e sono nella fase in cui sto scegliendo a chi affidarmi, voglio parlare con qualcuno che sia in grado di entrare nel mio mondo e dimostrarmi che lo comprende, di dialogare costruttivamente con me, di scambiare esperienze e di trovare il modo migliore di darmi quello che mi serve. Innestandolo non solo su quello che so, ma su chi sono.
Due esperienze con aspettative completamente diverse e due risultati diversi nel percepire e valutare la presenza dell’intelligenza artificiale nella comunicazione di un brand.
Nel primo caso l’efficienza, la velocità, la precisione soddisfano il mio bisogno di imparare presto e bene; nel secondo caso mi sento trattato come un pollo i fra tanti avviati verso il macello; di me interessa solo quanta ciccia potrò dare dopo essere stato spennato.
Sto scrivendo questo articolo perché sarebbe un vero peccato se l’Intelligenza Artificiale diventasse esclusivamente uno strumento del peggior marketing, quello che ti deve persuadere all’acquisto attraverso la manipolazione e la semplificazione, invece che incuriosirti, informarti e sedurti attraverso esperienze stimolanti e utilità unica e oggettiva.
Questo sta già avvenendo e avverrà, ma desidero che almeno chi fa azienda e fa marketing in modo etico e considera il proprio lavoro un modo per migliorare la qualità di vita delle persone, utilizzi nel miglior modo possibile questo congegno rivoluzionario e affascinante.
Da qui la domanda che faccio a chiunque si occupi di progettare, costruire o gestire brand sani ed etici: “Come governare e generare un impatto positivo dell’intelligenza artificiale nei punti di contatto fra una marca ed i suoi clienti o potenziali tali?”
L’assunto principale è che l’intelligenza artificiale è uno strumento e quindi, di suo, ne buono ne cattivo, ne utile ne inutile, ne bello ne brutto. Tutto dipende dall’uso che il brand ne farà.
Conta l’esperienza che il brand desidera trasmettere.
La prima e più importante risposta è: dipende dall’esperienza che il brand desidera generare nel suo cliente e quindi dal tipo di brand e dal pubblico che si è scelto. Tecnologico o artigianale? Lusso o mass market? Costruito sulle persone o sui processi? Caldo e accogliente o freddo e formale? Efficace ed efficiente o riflessivo e contemplativo?
E ragionando di branding il risultato finale sarà, ancora una volta legato alla coerenza fra le aspettative create dagli assunti fondamentali del brand: Identità e Valori, Posizionamento e Business Model e la percezione del cliente circa l’impiego che la marca farà dell’AI.
In linea di massima, laddove per il brand fosse un rischio fare sentire il cliente un numero fra tanti, privilegiare la velocità a scapito della profondità o l’uniformità a scapito della differenza, l’intelligenza artificiale può avere effetti collaterali indesiderati.
Per capirci, nell’e-commerce di Brunello Cucinelli, non esistono chatbot, non mi vengono mostrati articoli correlati non appena clicco su un qualche prodotto e non c’è niente che mi distragga da quello su cui sono concentrato in quel momento: un oggetto unico e speciale che deve trasmettermi un’emozione specifica. Lo stesso Brunello Cucinelli ha definito l’approccio del suo brand al web marketing come “Garbato”. (Uh che bella parola!)
Un brand è la sommatoria delle esperienze vissute dal cliente. Se facciamo riferimento alle 5 tipologie teorizzate dal marketing esperienziale: Sense, Feel, Think, Act e Relate, AI e dintorni possono funzionare e funzionano sicuramente benissimo sul Think e sull’Act, per la enorme capacità di gestire e restituire informazioni e di agire o ispirare azione; sulle altre tre aree, considero pericoloso e potenzialmente controproducente l’utilizzo di queste tecnologie (fatte salve le dovute eccezioni).
Conta il momento del processo di acquisto.
Un secondo aiuto a comprendere come utilizzare al meglio l’AI nella comunicazione e nei punti di contatto di un brand, è legato alla fase del processo di acquisto nella quale viene utilizzata.
Consiglio di costruire una griglia fra le 5 fasi tradizionali del processo di acquisto e le 5 tipologie di esperienza, scegliere il percorso da fare vivere al cliente e quindi decidere se e come utilizzare l’AI (anche in funzione del contesto: sito, social, negozio, magazine, cartellone, evento, telefonata, a casa del cliente, ecc…). E per dirla tutta e non fare un torto a nessuno, questo ragionamento andrebbe ripetuto per ciascuna delle target personas che interessano il brand.
E facciamo un esempio prendendo a caso, nel post vendita, una fase delicatissima che è quella del Customer Care: l’assistenza ai clienti con un problema o almeno, una domanda da fare.
Ai due estremi troviamo i comportamenti delle società telefoniche da un lato (TIM, Vodafone e WIND per fare nomi e cognomi), che ti propinano risponditori automatici e chatbot “interdetti” per guidarti in lunghi e complicati percorsi dove un po’ a istinto e un po’ a c…., dopo il terzo tentativo e venti minuti persi, parli finalmente con un operatore che ti dice che devi mandare una PEC (!?!) (e sperare che qualcuno ti risponda) e amazon dall’altro, che invece, in tre click, ti fa rispedire a spese sue il bene che non ti soddisfa o non funziona, ti chiede scusa per l’accaduto e ti ringrazia per l’opportunità di miglioramento.
Ho citato due realtà dove le tecnologie sono preponderanti e le capacità di investimento molto rilevanti, perché sono fra quelle che più di altre potrebbero e dovrebbero migliorare l’esperienza del cliente grazie all’utilizzo dell’AI.
Le prime, invece, mettono deliberatamente ostacoli perché considerano ogni interazione con il cliente un costo inutile (purtroppo in questo caso il libero mercato è una presa in giro, di fatto esiste un monopolio “segmentato”), la seconda, pur massificando e standardizzando, rispetta il tuo tempo, la tua intelligenza e il tuo denaro e si comporta di conseguenza.
Conta il significato della parola Brand.
La terza e ultima risposta è legata al significato che ciascuno di noi attribuisce alla parola brand. No, non esiste una verità assoluta sull’argomento; sul significato del brand è stato detto e scritto molto e le opinioni, anche quelle più autorevoli, quasi mai coincidono.
Per quello che mi riguarda, definisco il brand come un nome che condiziona la scelta di acquisto grazie alla sommatoria delle esperienze della marca vissute dal cliente nel tempo e nello spazio.
E le esperienze veicolano, sempre dal mio punto di vista, una stratificazione della percezione di Valori e Significati che sono in parte tangibili e in parte intangibili.
Tornando alla nostra AI, penso che il contributo che può dare al miglioramento dell’area del tangibile è significativo, nutro dei dubbi sul risultato nel perimetro dell’intangibile.
Finora non ho percepito creatività, ne emozioni, ne personalità venire da un’AI.
Si respira un’aria di fenomeno da baraccone, la performance eccellente e sicuramente realmente eseguita, viene enfatizzata e presentata spesso come fine a se stessa. Sono certo e auspico che migliorerà processi e diminuirà errori, ma l’Intelligenza Artificiale mi scalda e mi ispira come un mucchietto di sali del mar morto in un barattolo di vetro, zero.
E invece vedo brand, come quello degli amici della consulenza, affidargli il ruolo di attore nel loro processo di vendita. In questo specifico caso ci troviamo di fronte a: un servizio complesso, un investimento non irrilevante, un tema difficile da comunicare come quello della formazione manageriale e un target fatto da manager e imprenditori; l’utilizzo di un chatbot, in questa fase e in questo contesto, mi pare giustificato se il brand ha deciso di massificare la sua offerta e punta a portare a casa solo il pubblico più sprovveduto e numeroso. In caso contrario si tratta di un grosso errore di marketing e/o di branding.
Conclusioni sull’Intelligenza Artificiale nella comunicazione del Brand…e dintorni.
L’AI cambierà presumibilmente le nostre vite e sarà fantastica ogni volta che non sostituirà l’essere umano nella gestione di quel cosmo complesso dove stanno le emozioni, i sentimenti, la creatività e la stessa coscienza di se.
Si stanno costruendo robot, bambole e bamboli intelligenti, belli, efficienti; magari saranno strepitosi per fare le pulizie di casa e io e molti altri li ringrazieremo per questo, ma magari prometteranno anche performance sessuali fantascientifiche o amore e amicizia eterni e allora, no grazie, l’umanesimo che permea ogni millimetro del mio essere mi impedisce di apprezzare questi aspetti e anzi, mi creano un leggero, ma distinto, disagio.
Facciamo tutti attenzione a come utilizzeremo l’intelligenza artificiale, la robotica e tutto ciò che tenderà a farsi carico di mansioni fino ad oggi svolte da persone o da sistemi meno veloci e performanti; può liberare il nostro tempo e supportare esseri umani e aziende verso l’eccellenza e anche verso una migliore qualità di vita, ma non varchiamo per piacere quel confine che divide umano e non umano, i mondi si avvicinano è vero, ma li sento, immagino e desidero ancora come ben distinti e separati e mi sento consapevolmente sano.