Partiamo con il definire il termine Legal Fake
Il Legal Fake (o falso legale) è un fenomeno di recente natura utilizzato prevalentemente in ambito moda, in pratica si tratta dell’arte di una terza società nel registrare un marchio in un’altra nazione rispetto a quella in cui è stato concepito, prima che questo venga fatto dal brand originale, in modo da gestirne autonomamente tutta la filiera, dalla produzione alle vendita.
Si tratta infatti di “sfruttare” la notorietà, i prodotti, la creatività, le strategie di marketing e la pubblicità del marchio originale. Pertanto, i suoi tratti tipici si basano sulla questione della proprietà intellettuale, delle leggi sulla registrazione dei marchi commerciali nelle diverse nazioni.
Da non confondere il Legal Fake con la contraffazione. Il suo scopo infatti non è nel copiare i prodotti originali, ma creare un nuovo business parallelo a quello del marchio originale, proponendosi così come un marchio originale.
Ok, una volta chiaro questo passaggio importante, cerchiamo di unire i vari puntini.
Spesso penso a tutti quei Brand che hanno segnato la mia infanzia, quando avevo tra i 10 ed i 13 anni ho cominciato a guardarmi attorno, sono stato un bambino poco attento alle tendenze della moda proprio fino a poco più di 10 anni, il mio tempo lo dedicavo al gioco, sono stato uno di quei fortunati cui è stata concessa la possibilità di giocare per strada.
Il collegamento mi è stato ispirato dal programma TV I Migliori Anni di Carlo Conti, sono fra quelli che giocavano a campana e con le biglie, noi che compravamo i rullini per le macchine fotografiche (in realtà poco tempo dopo li avrei anche venduti), noi che… la generazione Bim Bum Bam e Cristina D’avena per intenderci.
Mbè sfido chiunque nel richiamare quel periodo alla mente e non avere un magone alla gola nel riprovare quelle sensazioni di spensieratezza, libertà, gioia e condivisione.
Perché ti sto ricordando questo periodo e cosa ha a che fare con il Legal Fake?
Perché sicuramente anche tu, come me, in quel periodo cominciavi a notare ciò che indossava il tuo compagno di classe (magari di famiglia benestante) quali pantaloni, quale paia di scarpe, quale camicia o giacca, quale bici o zaino ecc..
In pratica le possibilità erano due, o eri di famiglia benestante e quindi i tuoi genitori ti avevano già abituato al “firmato”, o con il diventare più grande, spontaneamente, cominciavi a renderti conto del modo di vestire delle persone che ti circondavano.
La mia famiglia è stata sempre umile, Papà muratore e Mamma casalinga, sono il quarto di quattro fratelli. Non erano tante quindi le possibilità di spendere denaro in capi firmati, in vacanze o nel “superfluo”. Questa situazione, unita alla mia pochissima voglia di stare sui banchi di scuola (credo più per i metodi di insegnamento obsoleti che per mancanza di volontà) mi ha poi spinto verso il mondo del lavoro.
Volevo guadagnarmi i miei capi firmati, diciamo che non ero proprio un anticonformista.
È così è stato, il mio primo stipendio è andato per intero a lui, Lewi’s 501 nero.
Prima però un po’ le balle ai miei le avevo rotte, per farmi comprare
Non dirmi che non hai mai posseduto uno zaino Invicta? Il mio era nero con scritte gialle, bellissimo.
E della prima bici vogliamo parlarne?
E via il secondo stipendio con le mie Adidas.
Potremmo continuare per ore e parlare di alimenti piuttosto che di giochi, ma non sono Carlo Conti :), l’obiettivo era solo nel riportarti al passato per un attimo.
Cosa hanno in comune tutti i Brand che hanno resistito oltre i miei 10 anni e perché non credo alle persone che mi parlano di Brand destinati ad avere successo per pochi anni per poi fallire? Continua a leggere e lo scoprirai.
La risposta abbastanza dettagliata è in questo articolo.
È l’identità a fare la differenza! Sempre e sopratutto in ambito moda.
lo ha capito bene Chiara Ferragni, prova ad approdare sul suo sito e azzardati a dirmi che i prodotti presenti NON sono identificabili, e non parliamo di un Brand nato negli anni “80, al massimo lei ci è nata negli anni “80 (1987 per essere precisi).
Ma facciamo un passo indietro, le azioni messe in atto da Chiara Ferragni prima di aprire un suo sito dove vende i propri prodotti sono state tante, fino ad arrivare all’attuale successo, quello che oggi la vede tra le Influencer più importanti e discusse del pianeta.
Lei ci ha insegnato ad utilizzare i social, il suo account Instagram conta oltre 15 milioni di follower, la coppia Ferragni/Fedez (Ferragnez) genera PR in quantità.
Chiara ha inaugurato il suo primo Store (Luglio 2017) e ovviamente lo fa in quel di Milano, ormai capitale mondiale della moda e non solo.
Questo ci insegna che alla base ci deve essere un progetto, nel suo piccolo Chiara Ferragni, a differenza di tanti altri, ha capito come ci si deve muovere nel millennio che stiamo vivendo.
Si è dedicata a tempo pieno al suo Brand personale, delegando ad esempio la parte di realizzazione delle calzature, ad un azienda della Città in cui vivo, la Mofra. Per inciso, anche in questo caso viene dimostrato quanto gli imprenditori locali (e non solo) sappiano essere dei bravi tecnici ed ottimi terzisti, ma non dei bravi strateghi per quel che concerne il posizionamento di marca ed il marketing.
E qui mi collego ad alcuni Brand che molto hanno fatto e stanno facendo discutere gli addetti ai lavori in ambito moda, i così detti capi Legal Fake.
Riepiloghiamo in breve: il “fenomeno” consiste nello “sfruttare il posizionamento identitario” creato da Brand concepiti in altre nazioni, come indicato in questo articolo che parla appunto del fenomeno.
Non ho nessuna intenzione di soffermarmi su tale metodo per fare business, non mi interessa, non mi compete, non è il punto focale dell’articolo.
Voglio solo spiegare quanto può essere più facile la “scalata” se il più del lavoro è fatto.
Cosa intendo precisamente? Parlo dei brand citati in questi articoli in cui si parla appunto di Legal Fake, uno su tutti Supreme.
Se analizziamo il caso di questo brand, se ne vediamo la storia, ci rendiamo conto del motivo del suo successo.
Supreme è un marchio fondato a New York, da James Jebbia, nel 1994, che con l’apertura del punto vendita a downtown Manhattan, Lafayette Street, divenne una mecca per gli Skaters del metropoli.
In questo video sono presenti alcune chicche che il famoso marchio può permettersi proprio grazie alla sua storia, come ad esempio: la creazione di pezzi unici o in serie limitata (sia online che in store). Ogni settimana vengono messe in vendita quindi un numero LIMITATO di maglie, pantaloni, oggetti e accessori. Puoi acquistare questi prodotti online per circa 20 secondi, mentre negli store fisici autorizzati (dovrebbero essere 9 in tutto il mondo) puoi acquistare un massimo di 2 capi.
Questo Brand (come altri), hanno in comune:
- delle storie legate ai fondatori,
- vengono progettati per un archetipo specifico,
- i capi sono stati indossati da celebrità che, può sembrare strano, ma quando ancora non esistevano i cellulari ed i social, facevano già la differenza,
- i marchi, prima di passare nell’olimpo e diventare quindi Brand necessitano di tempo. TEMPO, questo sconosciuto.
Mentre ciò che spesso avviene è tutto il contrario, si creano prodotti indifferenziati, per un target generico, senza nessuna strategia di marketing e si pretende un ritorno nell’immediato.
Dovrebbe essere ormai chiaro cosa hanno in comune quindi i Brand che hanno accompagnato la mia adolescenza, i Brand “Legal Fake e Chiara Ferragni, ma lo ribadiamo per sicurezza.
La Brand Identity!
Chiara Ferragni ne è la dimostrazione reale, oltre a dare importanza alla sua persona, quello che gli esperti chiamano Personal Branding, ha contraddistinto i suoi capi con l’inconfondibile logo dell’occhio azzurro, attenzione attenzione, questo “l’aver inserito un occhio azzurro” non è l’unico elemento che serve per dar vita alla Brand Identity, lo so benissimo e lo sai anche tu, parliamoci chiaro.
Servono molti più elementi, più pilastri come amo definirli ormai da tempo.
La Ferragni ha:
- avviato un’azienda di calzature partendo semplicemente dal suo account social
- Nel 2015 la sua azienda ha fatturato 15 milioni di euro
- Nel 2016 ha fatturato 20 milioni di euro
- Nel 2017 viene invitata ad Harvard per tenere una lezione sui social
- Nel 2018 una sua lezione di trucco costa 650 euro
Aggiungiamoci come detto poco sopra che ha inaugurato il suo primo store, che è la moglie di uno dei cantanti più famosi d’Italia (che piaccia o no), che a sua volta ad arte o non ad arte, ha organizzato la sua proposta di matrimonio durante la diretta di un suo concerto…
E invece di capire i VERI motivi del successo di Chiara Ferragni, gli Italiani riescono a commentare in questo modo:
Legal Fake, Personal Branding e brand storici sono sotto un unico cappello, quello identitario.
Il mondo non è cambiato poi tanto, i capi che tanto desideravamo indossare noi della Generazione X ed i motivi per cui volevamo assolutamente vederceli addosso, sono gli stessi che inducono i Millenial e la Generazione Z.
Quando un marchio diviene Brand, l’emozione di possedere un prodotto o un servizio ci rende tutti accaniti ricercatori. D’altra parte il Brand supera ogni difficoltà.
Abituiamoci dunque una volta e per tutte alle “coppie social” modello Fedez-Ferragni ed abbandoniamo definitivamente l’dea del fidanzamento ufficiale in casa e dei pasticcini la Domenica dalla suocera.
Ah, il livore, il disprezzo verso chi ha successo è sempre esistito, solo che ai tempi i social non esistevano ed i commenti in stile heaters si facevano sul divano di casa, adesso si esprimono sotto i post (ainoi) e quindi vengono amplificati molto di più.
Ed ancora, dovremmo essere gelosi dei Brand con la B maiuscola che i nostri connazionali hanno realizzato in passato e proteggere chi ha ancora la forza di portare avanti la propria creatività e non dargli contro ad ogni minima piccola eventuale battuta d’arresto.