Vizi antichi e contemporanei della (IN)-CIVILTÀ dei consumi.
La reputazione del marketing
Per lavoro racconto agli imprenditori che mi occupo di marketing. Nella mia vita privata lo racconto, a chi mi chiede “Che mestiere fai?”.
Negli occhi dei primi leggo eccitazione:
- marketing = più vendite = più fatturato.
Negli occhi delle persone comuni leggo invece diffidenza:
- marketing = tentare di vendermi qualcosa = fregatura.
In qualche modo le due percezioni si sposano.
Ma è questo il significato del marketing?
Nella sua concezione più autentica assolutamente no.
Nell’immaginario della maggioranza delle persone purtroppo si.
Paradosso: “Il marketing ha comunicato male se stesso!”
Come è potuto accadere?
E’ accaduto perché la (in)-civiltà dei consumi (il consumismo per usare un temine noto) si è appropriata di alcune tecniche del marketing e le ha utilizzate per alimentare se stessa.
Il bisogno di questa (in)-civiltà era ed è, quello di allargare la base e la quantità dei consumi per alimentare la produzione e la vendita di beni, per arricchirsi e produrre e vendere ancora di più. Un circolo perverso
Per farlo ha utilizzato il marketing per creare e concimare la grande illusione collettiva che la felicità personale fosse direttamente legata al possesso di beni materiali.
La (in)-civiltà dei consumi ha inserito artificialmente nella piramide dei veri bisogni umani il bisogno illusorio di possesso, alieno da valori, significati ed ideali (se può interessarti in questo articolo ho ragionato sulle affinità fra piramide dei bisogni di Maslow e piramide del branding).
Il giocattolo però è esploso: ha generato infelicità invece che felicità, povertà invece che ricchezza, estraneità invece che identità. E i consumatori sono diventati un po’ meno ingenui e molto più bisognosi.
E adesso che succede?
Tranquilli, non voglio fare un trattato di sociologia, ma desidero invece concentrarmi su quello che il marketing può fare e sta facendo di buono e su quello che il NON-marketing, ancora continua a produrre.
Il vero marketing
Dalla grande crisi del 2008 in avanti, in qualche modo, con tanti errori, con diverse eccezioni e non sempre in maniera onesta, i grandi brand planetari e le loro agenzie di comunicazione stanno comunque provando a dare un senso alle loro marche, a soddisfare anche i bisogni intangibili delle persone di identità, stima, emozioni a creare sostenibilità e benefici collettivi; c’è un mondo che con grande difficoltà lavora per ritrovare un equilibrio perduto.
E anche tante, tantissime piccole e medie imprese, con le loro piccole e medie agenzie, hanno capito che bisogna partire dai bisogni reali delle persone e migliorare, attraverso beni e servizi veramente utili, sensati e sostenibili la loro qualità di vita, che poi è anche la nostra (e fra parentesi, questo è il vero marketing).
E non a caso nel 2010 Philip Kotler scrive e pubblica MARKETING 3.0 – Dal prodotto, al cliente, all’anima, che proprio di questo tema si occupa.
Altre 2 grandi differenze fra ieri e oggi che impongono il cambiamento:
- Per grandi, medi e piccoli, il consumatore non è più solo destinatario del messaggio della comunicazione e “mucca da mungere” fino all’ultima goccia di latte, ma, anche grazie al web, è diventato un attore, spesso il protagonista, e questo ha cambiato molto le cose, dal punto di vista del marketing e anche dal punto di vista delle aziende.
- Ieri, le aziende, con un prodotto o un servizio decente, potevano assumere una buona agenzia di comunicazione, investire cospicuamente in pubblicità e un ritorno in termini di notorietà e vendite magari lo ottenevano pure.
Oggi NO. Oggi più e prima di chiunque altro, TUTTA L’AZIENDA DEVE FARE MARKETING E BRANDING:
- perché la vendita è diventata SCAMBIO DI VALORE,
- perché lo scambio di valore è solo una parte della RELAZIONE che il consumatore intrattiene con l’azienda,
- perché, affinché la relazione sia duratura, non basta più la soddisfazione del cliente, abbiamo bisogno di generare il BENESSERE del cliente e ottenere il suo ingaggio e il suo appoggio.
Il marketing distorto
Ma cosa accade sull’altra sponda? Ci sono anche ancora molti, troppi, imprenditori e altrettanti markettari (che non hanno niente a che vedere con i professionisti del marketing), che sono rimasti fermi alla (in)-civiltà dei consumi.
Agli imprenditori onesti, veri eroi del nostro tempo, suggerisco umilmente di guardare oltre il mondo delle scorciatoie, della persuasione attraverso la manipolazione, del facile, del tutto subito, del prendi i soldi e scappa, del ”Come aumentare il tuo fatturato del 250% in 10 mosse”. Il mondo è sempre più complesso e la giusta e continua ricerca della semplicità, passa attraverso l’analisi e il lavoro sulla complessità e sull’etica, mai attraverso la banalizzazione o l’appioppo.
Nel mondo degli operatori di marketing, invece, a quelli che comunque sono rimasti all’in-civiltà dei consumi, si affianca il caos creato dal web nel quale, ancora, facciamo fatica a mettere ordine.
Grazie al loro strapotere, colossi come Google e Facebook hanno introdotto nella terminologia e nelle pratiche quotidiane una serie di “qualcosa-marketing” che non hanno giovato a riabilitare la percezione del marketing, ma anzi la stanno trascinando ancora più a fondo (quasi leggendomi nel pensiero, Alain Serafini ha segnalato questo articolo che, a chi desidera approfondire l’argomento, consiglio vivamente.
Il concetto che sta alla base della grande e pericolosa distorsione creata dal web è che, quelli che normalmente sono semplici strumenti, canali e contenuti dei quali il marketing si serve in modo strategico, possano diventare forme di marketing a se stanti: content marketing, inbound marketing, social media marketing, email marketing, funnel marketing (questo poi è il peggiore di tutti. Immaginate quanto piace ad un cliente essere infilato in un imbuto…!) e lo stesso web marketing, non sono “marketing”, ma canali, strumenti o contenuti. Niente di più e niente di meno (in questo panorama una citazione a parte la merita il Personal Branding, ulteriore invenzione fasulla, omaggio al narcisismo dominante e a certe logiche malate del web. Vale la pena fare un approfondimento che vi prometto).
Scorgendo in questa distorsione un’opportunità, un’orda di volonterosi webnauti si è impossessata di queste sottospecie di “marketing verticali” e le vende come rimedio per aumentare il fatturato, la numerosità dei clienti e le vendite, senza un prima e senza un dopo. Magari nell’immediato generano pure qualche risultato (molto raramente), ma, alla lunga, infastidiscono i consumatori, impoveriscono gli imprenditori e danneggiano la reputazione del marketing.
I vari “qualcosa-marketing” ed i loro adepti, non hanno e non possono avere vita propria, ma ricevono il loro senso di esistere solo dall’essere parte di una strategia di marketing e/o branding. Fuori da questo contesto sono come un muratore che tentasse di costruire un edificio con un martello: qualche chiodo lo pianterà pure, ma non è detto, perché potrebbero non esserci neppure le pareti.
Il riscatto possibile del marketing
La strada per riscattare il marketing nell’immaginario collettivo è ancora lunga, ma questo non solleva tutti quelli che, come me, pensano che possa fornire un piccolo, ma onesto contributo per rendere il mondo un posto migliore, dall’esercitare eticamente il nostro mestiere attraverso scelte coerenti, dal dichiarare e rispettare i nostri valori e dal coltivare e integrare senza sosta le tante e complesse competenze necessarie affinché il marketing ed il branding compiano fino in fondo la loro missione: modellare le aziende e la loro comunicazione sui bisogni tangibili e intangibili dei loro clienti per favorire uno scambio di valore che generi benessere collettivo, migliore qualità di vita e ricchezza di senso e valori.
E dopo questo articolo mi considero quasi in ferie. Ci rileggiamo a settembre su questo blog e sul nostro gruppo BRANDING NEL XXI SECOLO.
Ti auguro un magnifico periodo di riposo e/o divertimento e/o scoperta e/o quello che ti pare, prima delle nuove e ultime sfide di questo intenso e interessante 2018!